ADOLFO NATALINI PRINCIPE DELL'ARCHITETTURA

Il punk e lo sguardo del maestro 1977. Mentre Joe Strummer cantava “White riot – I wanna riot / White riot – a riot of my own”, la cultura punk spazzava via i sentimenti collettivi degli anni ‘60-’70 in nome di un nuovo individualismo. L’unica rivoluzione possibile era ormai quella “of my own”: una rivoluzione personale, intima, solitaria, fatta con il proprio corpo, a volte sul proprio corpo.

In quegli stessi anni ma con opposti sentimenti, in diversi angoli di mondo Adolfo Natalini comincia a ricucire la storia delle città con l’ago e il filo dell’architettura.

Casa editrice:  Pacini
Tipologia di intervento:  Monografia
Anno:  2020

Alla fine del percorso universitario entrammo in Aula Minerva, il Professor Natalini era già dentro. Aspettava la sua platea stando in piedi sulla pedana, appoggiato ad uno spigolo della cattedra. In posa precaria parlava con aria sicura. Lo sguardo era spesso rivolto oltre, sopra di noi, un po più in là. Parlava poco dei suoi progetti, talmente poco che ce ne dimenticammo subito. Parlava più volentieri del mestiere dell'architetto, del peso del lavoro, della storia delle città, del tempo, del futuro di noi giovani, di strani film coreani e russi.

IL TEMPO DELLO STUDIO

Noi ascoltavamo, sembrava tutto chiaro, poi qualcuno cercava di capire quale punto, oltre i nostri sguardi, stesse fissando. Non lo abbiamo mai trovato ma, forse, ora abbiamo capito che il senso non è il punto, ma la poesia della sua ricerca:“Sì, al di là della genteti cerco.Non nel tuo nome, se lo dicono,non nella tua immagine, se la dipingono.Al di là, più in là, più oltre.Al di là di te ti cercoNon nel tuo specchio e nella tua scrittura,nella tua anima nemmeno.Di là, più oltre.”

Pedro Salinas

DENTRO E FUORI LO STUDIO